Omelia Domenica delle Palme - A



In questa domenica tutta la Chiesa entra nella grande settimana detta “santa” perché fa solenne memoria della passione e risurrezione del Signore Gesù. Così, il cammino quaresimale di conversione e penitenza ci ha condotti a contemplare il vertice della vicenda di Gesù, la crocifissione-risurrezione, quale definitiva rivelazione del vero volto di Dio. La sensibilità popolare, tuttavia, ha privilegiato la processione delle palme, mentre in realtà il cuore della liturgia della parola di oggi è tutto concentrato sulla lettura della Passione di Gesù al quale anche noi dobbiamo rivolgere la nostra profonda attenzione.
Gesù è stato solidale con la sofferenza degli uomini concreti: ha guarito ammalati, ha accolto emarginati di ogni tipo. Lui stesso ha conosciuto la sofferenza e la sconfitta dei suoi sforzi per salvare il suo popolo ed ha pianto su Gerusalemme che lo ha rifiutato. Eppure la scelta di Gesù si tramuta assai presto in uno scandalo: colui che viene a liberare i poveri e i sofferenti fa l’esperienza della sconfitta, del silenzio di Dio, della morte. Il “buon pastore” diventa «l’agnello immolato», il seminatore diventa il grano che muore, il Signore diventa il «servo sofferente» annunciato dai profeti (Is 50, 4-7).
 
Soffermiamoci un istante su questa vicenda di Gesù che entra a Gerusalemme accolto dalla gioia della gente. Lui ha saputo comprendere tutta la dimensione della miseria umana ed ha mostrato il volto della misericordia di Dio guarendo il corpo e l’anima. « Questo è Gesù. – ha commentato Papa Francesco – Questo è il suo cuore che guarda tutti noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. È grande l’amore di Gesù. E così entra in Gerusalemme con questo amore, e guarda tutti noi». Sì, l’amore di Gesù guarda tutti noi!
 
Ma questo stesso Gesù è ora nelle mani dei suoi nemici che lo condannano al supplizio della croce. È uno sconfitto al punto che i suoi avversari possono trionfare in modo completo. Non hanno eliminato soltanto un importuno, ma il giudizio di Dio sembra tutto dalla loro parte. Ai piedi della croce di Gesù, dunque, si scontrano due modi di credere, due atteggiamenti di fede, mentre Gesù ne è la discriminante: da una parte, chi è disposto a credere ma a patto che Gesù scenda dalla croce - «scendi dalla croce e noi ti crederemo!» - , dall’altra, chi crede proprio perché Gesù non scende dalla croce, dunque i cristiani. Al centro di questa tensione c’è Gesù e il Padre. Gesù si rivolge al Padre con un domanda, ma il Padre tace. La “voce” che ha parlato al battesimo sul Giordano e alla trasfigurazione – «questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo!» - qui, sulla croce, tace in maniera impressionante. E Gesù muore con una domanda, anzi con la domanda per eccellenza che tutti noi rivolgiamo a Dio nei momenti in cui abbiamo la morte nel cuore. Non è sorprendente e perfino scandaloso?
In realtà, al Calvario viene cancellata definitivamente l’immagine di un Dio che interviene miracolosamente nella storia umana per porre fine alla sofferenza. Della morte di Gesù, una morte violenta e terribile che contesta tutti gli idoli umani, tutte le false immagini di Dio, invece la fede cristiana ha fatto il luogo supremo dell’amore di Dio per gli uomini. È la grande “scoperta” che tutti noi cristiani abbiamo fatto, attraverso il “mistero” di Gesù, del vero volto di Dio che non è quello voluto dai filosofi o da coloro che sono “vincenti” nel mondo: solo ascoltando fino in fondo questo silenzio di Dio nel mistero della morte di Gesù, scopriamo tutto l’amore con cui Dio guarda alle nostre miserie, povertà, amarezze, sconfitte. Dobbiamo dirlo con forza e quasi gridarlo dai tetti: Dio, il Dio di Gesù, non è quell’essere potente e trionfante che tutti noi desideriamo. Non è un Dio tranquillo e felice, del tutto estraneo alla sofferenza umana, ma un Dio che ci sconcerta e che ci chiede di accettarlo così com’è: un Dio impotente e umiliato, che soffre con noi il dolore, l’oscurità e perfino la stessa morte.
Perché? C’è, infatti, una ragione profonda e straordinaria: Dio non vuole abbandonare l’uomo a se stesso, alle sue solo risorse umane, storiche, politiche ecc. Vuole invece condividere con l’uomo tutta la sua vita, con le sue gioie e le sue pene. Vuole essere, come Gesù, il “Dio con noi” e che ci viene incontro in ogni nostra necessità, compresa l’esperienza della morte. Intravediamo qui tutta la forza misteriosa, verrebbe da dire lo “scandalo”, della preghiera cristiana: Dio, in forza del suo amore per noi, vuole essere cercato, amato, invocato perché noi ci rendiamo conto che senza di Lui la nostra vita è perduta, infelice, sconfitta senza appello. Una vita inutile e senza scopo.
Sì, è un grande e immenso mistero questo Dio che è Padre di Gesù e Padre nostro fino all’ultimo! Guardando a Gesù Crocifisso, chiediamo anche noi quella fede con cui Egli ha trasfigurato tutta la sua sofferenza umana:«Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito». Amen.     

 

 

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